“BLACK CLOUDS” di Bastien Pons
- Federico

- 14 minuti fa
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In "Black Clouds", l'artista sonoro francese Bastien Pons e il suo collaboratore Frank Zozky costruiscono un'esperienza che si colloca a metà strada tra suono, silenzio e memoria. Tratto dall'album di debutto di Pons, Blinded, il brano è una meditazione sulla fragilità e l'atmosfera: un'esplorazione lenta e immersiva di texture che appare al tempo stesso intima e immensa. Come le sue fotografie in bianco e nero, i paesaggi sonori di Pons si basano sul contrasto: luce contro ombra, immobilità contro movimento, rumore contro il silenzio che lo definisce. Formatosi alla musica concreta con Bernard Fort, Pons considera il suono come materia da plasmare, piuttosto che come note da suonare.
"Black Clouds" inizia con un ronzio quasi impercettibile, un profondo pulsare che radica l'ascoltatore prima che il mondo circostante inizi a cambiare. Strati di droni, risonanze metalliche e frammenti di voce spettrali (per gentile concessione di Zozky) emergono e si dissolvono come tempeste passeggere. La composizione non si assesta mai: fluttua, disorienta e alla fine avvolge. Il peso emotivo del brano deriva dalla sua compostezza. Pons resiste alla tentazione di drammatizzare; invece, lascia che il brano si svolga in modo organico, dando al silenzio la stessa importanza del suono. Non c'è un ritmo a cui aggrapparsi, nessuna melodia da seguire, solo un senso di tempo sospeso.
È come se "Black Clouds" catturasse la quieta tensione prima che cada la pioggia, o il dolore di un ricordo semidimenticato. La presenza vocale distorta di Zozky aggiunge una fragile umanità alla densa architettura sonora di Pons. La sua voce non è cantata, ma sentita: un'eco di emozioni sepolte nell'astrazione. Insieme, creano qualcosa che non è né ambient né industrial, ma una scultura sonora vivente, che invita l'ascoltatore non ad ascoltare, ma ad abitare. In un panorama musicale dominato dalla gratificazione immediata, "Black Clouds" richiede pazienza e abbandono. È inquietante ma confortante, desolata ma profondamente umana. Quando svanisce nel silenzio, ciò che resta non è solo suono, ma spazio: la persistente consapevolezza di essere stati in un luogo vasto e senza parole.




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